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estratto da "Comunicare"

Comunicare come base del rapporto sociale

Passeggiando sugli scogli il nostro sguardo può essere attirato da un ghiozzetto che si sposta da un riparo all'altro, in una pozzetta d'acqua rimasta isolata dall'abbassarsidella marea. Chinandoci per guardare meglio, notiamo subito che quel ghiozzetto non è solo: diafani gamberetti procedono a scatti a mezz'acqua, mimetici granchiolini si danno un gran da fare con le loro chele fra i ciuffi di cladofora; ci accorgiamo così che quella pozzetta d'acqua, che a prima vista sembrava solo "acqua", è un piccolo, affollato ecosistema. Se qualche briciola del panino che abbiamo cominciato ad addentare (le attività scientifiche mettono fame) cade nell'acqua, l'ordine precedente si scompagina; il movimento degli animali che vanno verso le briciole causa un'altra serie di spostamenti: c'è chi scappa, chi si apposta in attesa del suo momento, chi si porta una briciola nel suo nascondiglio e chi la "consuma " sul posto.

Ineluttabilità della comunicazione

Tutti i "movimenti" che vediamo non sono casuali; rigide regole li determinano. Cominciamo con l'arrivo delle briciole: ciascuna specie, mediante i propri sistemi di ricezione, capta il segnale chimico causato dalla presenza del pane nell'acqua. Ci chiediamo come è possibile che pezzetti così piccoli di una materia che a noi sembra così poco "odorosa", soprattutto se paragonata ai forti odori del contenuto di quella pozza, possano essere avvertiti. In quella selva di stimoli essi riescono, mediante meccanismi di filtrazione sensoria e nervosa, a cancellare o a rendere "di sfondo", gli stimoli momentaneamente non utili, e a percepire quelli molto utili per il raggiungimento del bersaglio, il cibo in questo caso.
Ci accorgiamo, visto che ogni specie rispondeva diversamente allo stesso stimolo, che le risposte sono fondamentalmente di tre tipi: di indifferenza; di interesse da parte di chi, con cautela, esce dal suo nascondiglio per cibarsi; di interesse da parte di chi aspetta che qualcun altro esca dal suo nascondiglio per mangiare, e ghermirlo. Ciascun tipo di animale, quindi, recepisce con i suoi sensi gli stimoli provenienti dall'ambiente (presenza di cibo, presenza di predatori, presenza di prede) li elabora (localizzazione del cibo, valutazione della presenza del predatore, strategia da attuare per la predazione) e modula di conseguenza il proprio comportamento; si viene a determinare così quel fenomeno essenziale per cui ogni organismo legge l'ambiente nel modo più adatto alla propria sopravvivenza (Mainardi, 1989).
Leggere l'ambiente significa assumere da esso una serie di informazioni a cui dare delle risposte comportamentali che coinvolgano tutte le attività vitali. Una volpe che gironzola per le campagne, mentre a testa bassa annusa il terreno, può seguire le tracce di un leprotto, ma può anche ricevere un messaggio da parte di un suo simile. Le volpi hanno l'abitudine di usare il secreto della ghiandola odorifera, insieme alle feci e alle urine, per segnare il proprio territorio. Nel primo caso la volpe legge le tracce del leprotto per garantirsi la cena, nel secondo essa riceve un messaggio lasciato apposta da suo un simile, che gli comunica che è nel suo territorio di caccia. La differenza fra le due letture consiste nell'intenzionalità di chi lascia la traccia: il leprotto, al contrario del suo cospecifico, non aveva nessuna intenzione di lasciarle messaggi!
In entrambi i casi possiamo parlare di comunicazione. La differenza che si coglie nelle due situazioni descritte ci spinge a definire questo termine in modo più preciso. C'è comunicazione ogni volta che una informazione passa da un organismo ad un altro, mentre si parla di biocomunicazione quando c'è trasmissione di messaggi da un emittente ad un ricevente. In tal modo il comportamento di uno dei due (o di entrambi) viene mutato a suo (loro) vantaggio. La biocomunicazione ha dunque valore adattattivo per emittente e ricevente. Biocomunicazione non significa manipolazione del partner, bensì con-divisione e invito alla cooperazione. Essa si svolge sotto forma di un dialogo, in cui emittente e ricevente scambiano di continuo i loro ruoli (M. Lindauer, 1990).

I RAPPORTI SOCIALI

Mentre scriviamo Pluto, il nostro cane, è venuto a chiederci di uscire perché aveva delle faccende urgenti da sbrigare fuori: l'arrivo di un camion carico di legna, con i relativi venditori, aveva messo lo scompiglio fra tutti i cani dei giardini circostanti. Un cancello aperto aveva permesso ad uno di loro di uscire dal proprio territorio, e venire a marcare il cancello di casa; Pluto aveva dovuto ovviare a questo grave inconveniente prima cacciando il temerario con furioso abbaiare, e poi contromarcando il "proprio" cancello con profluvi di orina. Per finire ha fatto una serie di "figure", per mettere in mostra la propria prestanza fisica agli occhi della sua adorata Spagna, la lupa dirimpettaia sempre al centro dei suoi pensieri. Quando ha guaiolato un po' per farsi riaprire la porta e rientrare, fuori era di nuovo "tutto in ordine".
"espressioni
Pluto fa parte di due contesti sociali, uno misto (uomo-cane) e l'altro specie-specifico (i cani del gruppo di case di campagna in cui abitiamo); ha quindi comunicato con noi per farsi aprire la porta e con gli altri cani per ristabilire i confini territoriali, le gerarchie sociali e per ribadire a Spagna la sua devozione. I messaggi che Pluto invia sono indubbiamente meno chiari per noi che per i suoi simili. La convivenza fra noi e il cane ha reso necessario che si sviluppasse un linguaggio che un altro cane, abituato ad altri padroni, non comprenderebbe; questo linguaggio si arricchisce a mano a mano che la convivenza va avanti. Lo scambio di messaggi che Pluto ha avuto con il suo simile sulla faccenda del cancello, è stato invece molto più preciso: il loro linguaggio era omogeneo ed aveva una precisa funzione sociale (Fig. 1). Serviva a stabilire di chi fosse il cancello e chi potesse accampare maggiori diritti sulle grazie di Spagna; in definitiva su chi avesse più possibilità a garantirsi una discendenza.
Comunicare è quindi una necessità alla quale nessuno può sottrarsi: gli individui appartenenti alla stessa specie possono riprodursi solo se riescono a comunicare fra loro; un'associazione sociale riesce a mantenere una convivenza ordinata solo se ciascun individuo riesce a riconoscersi membro della comunità e ad interagire con essa comunicando con tutti gli altri.
Se, camminando in un viottolo, calpestiamo fortuitamente una fila di formiche, vediamo come dopo l'iniziale scompaginamento della fila, essa viene ripristinata in tempi brevissimi dopo una serie di "toccamenti" di antenne, ricognizioni sul terreno e rimozione di piccoli cadaveri rimasti vittime della nostra sbadataggine. Se nel trambusto, poi, dovessero essersi "infiltrati" individui appartenenti ad un'altra specie, essi sarebbero subito allontanati. Da un lato quindi si evidenzia l'ineluttabilità della comunicazione come via relazionale, dall'altro come la comunicazione sia soprattutto specie-specifica. E' sulla specificità dei messaggi che si è applicata la selezione naturale, in quanto essa è uno dei principali elementi dell'isolamento riproduttivo. Inoltre, l'isolamento comportamentale è differente a seconda dei generi e può rappresentare un segno tra i più tangibili della distanza sistematica, ovverosia del livello di divergenza evolutiva tra due specie dello stesso genere. Sono le barriere comportamentali che, nonostante si tratti della stessa specie, evitano che i cani rinselvatichiti possano, incrociandosi con i lupi, cancellarli definitivamente dai nostri boschi.